Torino, 1883: il primo colpo al patriarcato
Lidia Poët entra nell’albo degli avvocati. Non chiede il permesso. Non abbassa lo sguardo. Si prende ciò che è suo, dopo anni di studio e sacrificio. È la prima donna in Italia a riuscirci. E per un momento, tutto sembra possibile. Ma dura poco. La società, quella che applaude con una mano e bastona con l’altra, si ribella. La Corte d’Appello la radia: il motivo? È una donna. E questo, secondo i giudici in toga e pregiudizio, basta e avanza.
Una sentenza di esclusione, una vita di resistenza
Non fa scenate, non si ritira. Non grida vendetta, ma non smette di lottare. Per 37 lunghi anni, lavora nello studio del fratello. Scrive, consiglia, difende. Ma non può firmare, non può parlare in aula, non può esistere ufficialmente. È lì, nell’ombra, ma più presente di chiunque. Come una crepa nel muro: invisibile, ma inarrestabile.
Pensateci: trentasette anni. Più di tredicimila giorni di esclusione, di frustrazione, di pazienza. Quante volte sarà stata tentata di lasciar perdere? Quante porte chiuse in faccia, quanti “non si può” urlati da chi aveva solo paura del cambiamento?

Lidia Poët ph wp
1920: la legge cambia, lei no
Quando finalmente una legge apre la professione forense alle donne, Lidia ha 71 anni. Non è più giovane, ma non ha perso nulla della sua forza. Nessun risarcimento può restituirle quello che le hanno tolto, ma la dignità non gliel’hanno mai strappata. Viene riammessa all’albo e, con un gesto che ha il peso di una rivoluzione, diventa simbolo di tutte le battaglie silenziose, di tutte le donne rimaste ai margini, non per mancanza di merito, ma per eccesso di coraggio.
Non una favola, ma una conquista
Questa non è una storia che consola. Non finisce con un lieto fine accomodante. È una vittoria che arriva tardi, ma che lascia il segno. Lidia Poët non ha avuto giustizia in tempo, ma ha preparato il terreno per chi è venuta dopo.
Ogni avvocata, ogni giudice, ogni donna che oggi alza la voce in un’aula di tribunale, lo fa anche grazie a lei. Perché Lidia non ha mai detto “non fa niente”. Non ha mai detto “è inutile”. Ha scelto di restare, di resistere, di non smettere di credere.
E oggi, a distanza di oltre un secolo, il suo nome fa ancora tremare le fondamenta di un sistema che, se potesse, la cancellerebbe di nuovo.
Ma non può.
Perché Lidia Poët è storia. E la storia non si radia.
A cura di Veronica Aceti
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