La violenza contro le donne in Italia è tutt’altro che un ricordo del passato. I numeri parlano chiaro:
31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nella vita.
Tra il 2013 e il 2023, la violenza sessuale è aumentata del 40%, soprattutto tra le giovani (0-25 anni).
I maltrattamenti in famiglia sono cresciuti del 105% e lo stalking del 48%.
Nel 2024 si sono conteggiati 119 femminicidi, un aumento rispetto agli anni precedenti, mentre le denunce per maltrattamenti in ambito familiare sono salite del 12%.

Secondo l’Osservatorio Non Una di Meno, nei primi sei mesi del 2025 ci sono già stati 40 femminicidi monitorati.
Questi numeri, devastanti, presentano un quadro in cui le leggi ci sono, ma restano spesso insufficienti di fronte a un fenomeno che muta, si nasconde, viene minimizzato o negato.
Conosci Lilith?
Lilith è una figura potente, spesso dimenticata, che rappresenta la prima rivendicazione di autonomia della donna. Nella tradizione ebraica, come descritto nel Midrash e nell’Alfabeto di Ben Sira, è la prima compagna di Adamo, creata come sua uguale dalla stessa terra, e non da una sua costola come Eva. La loro unione si spezza quando Adamo pretende che si sottometta con un atto sessuale non gradito. Lilith rifiuta, affermando: «Perché dovrei stare sotto di te? Anche io sono stata fatta di polvere!», e se ne va. Lilith diventa così un demone solo perché incarna la paura del femminile che non si piega. Lei rappresenta tutto ciò che il patriarcato non riesce a controllare: la sessualità libera e, soprattutto, l’indipendenza che rifiuta un ruolo sottomesso. Simboleggia la ribellione femminile contro la dominanza maschile, una “disubbidienza” repressa nei secoli, che ha visto la donna rappresentata come una proprietà, etichettata con stereotipi dannosi e duri a morire.

Anche il linguaggio gioca a sfavore
Stereotipi che impediscono ancora oggi un’inversione di rotta verso una reale parità di genere in molte culture, anche in Italia. Persino il linguaggio gioca a sfavore. Se non si è presenti in una lingua, è come se non si esistesse. L’italiano, ad esempio, è una lingua orientata al maschile, come si vede nel termine “fratelli” per indicare sia fratelli che sorelle, o nella frase “Auguri e figli maschi“. Per anni, dunque, la donna è stata raccontata da altri … cedendo nello stereotipo, venendo categorizzata e classificata come “sesso debole“, totalmente alla mercè dell’uomo e non solo per quanto riguarda l’emancipazione. A livello mondiale, si stima che circa un terzo delle donne abbia subito violenza fisica o sessuale. Solo nello Stivale, il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni è stata protagonista di abusi. Sempre nel nostro Paese, ogni due giorni e mezzo viene uccisa una donna, mentre per molte la violenza psicologica è quotidiana, in famiglia, sul luogo di lavoro, nella società in generale
Pochi aiuti concreti e percorsi duri ancora da affrontare
Un percorso duro, quello della donna “moderna”, che attraversa decenni di cambiamento sociale e culturale, radicato nel movimento femminista degli anni ’60 e ’70, che ha iniziato a reclamare i propri diritti con le battaglie per il divorzio e l’aborto, mettendo in discussione i ruoli tradizionali di genere. Nel Paese dove le mamme sono venerate ma le donne sono picchiate o uccise, solo il 5 agosto 1981 è stato abolito il delitto d’onore così come il matrimonio riparatore. Riconoscimenti che non hanno però certo messo fine agli abusi. Negli anni ’90 sono nati i primi centri antiviolenza, facendo luce sulla violenza contro le donne, un tema fino ad allora nascosto e stigmatizzato, spesso fatto passare per atto d’amore (la maggior parte delle violenze si consuma proprio all’interno delle “rassicuranti” mura domestiche). Tra le iniziative più importanti, la “Casa della donna” e il “Telefono Rosa“. Istituzioni ancora oggi impegnate in prima linea, insieme a tante altre nate nel frattempo, per dare supporto alle molte, ancora troppe, richieste d’aiuto. Il cammino, infatti, come dimostrano i casi di cronaca, è lungo. Non bastano le leggi, le giornate dedicate, le quote rosa…

A cosa serve esattamente l’8 marzo?
Personalmente penso che fino a che avremo ancora bisogno di un 8 marzo o di regole che impongano la tutela o la presenza di una donna in un contesto che dovrebbe essere suo di diritto in quanto persona, il fallimento continui a essere costantemente sotto gli occhi di tutti. Nessuna donna vuole essere tutelata come fosse in via di estinzione. La violenza persiste, nelle parole, nelle leggi inadeguate e muta di forma, insinuandosi ora nel digitale. Ogni volta che leggo di un femminicidio, mi chiedo: quante volte quella donna avrà cercato aiuto? Quante volte si sarà sentita dire «stai esagerando» o «lui cambierà»? Molte iniziative sono sicuramente un faro, ma continua la lotta quotidiana per sopravvivere in una società che troppo spesso minimizza, giustifica, gira la testa dall’altra parte. Con un’opinione pubblica che, ancora oggi, giudica la vittima al pari del carnefice.
Esistono ancora roghi come quelli della caccia alle streghe
La frase «Se l’è cercata», «Si era vestita sexy», «Inizialmente ci stava», anche solo a livello di sottotesto o di ipotesi, brucia quanto il rogo medioevale della caccia alle streghe. Per questo Lilith continua ad essere un simbolo, un modello per il movimento al femminile. È la donna che ricorda che l’obbedienza non è virtù e che per essere libere, spesso, bisogna volare via, proprio come fece lei, lontano dal Paradiso che era una prigione. «Meglio solitaria nell’oscurità che in ginocchio alla luce»: questa è la sua eredità, raccolta dalle tante donne, ma anche dai tanti uomini, che non credono in una insensata gerarchia dettata dall’identità di genere.
A cura di Laura Farnesi
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