La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la condanna all’ergastolo per Antonio De Pace, infermiere vibonese che il 21 marzo 2020, in piena pandemia, ha ucciso la fidanzata Lorena Quaranta nella loro abitazione di Furci Siculo, in provincia di Messina.
Un femminicidio che ha sconvolto l’opinione pubblica
Lorena, studentessa di Medicina, è stata vittima di un femminicidio che ha scosso profondamente l’opinione pubblica. Il delitto è avvenuto in un periodo di isolamento forzato, causato dall’emergenza sanitaria legata alla pandemia.
Le decisioni delle Corti: nessuna attenuante per Antonio De Pace
La sentenza ha confermato quanto già deciso dalla Corte d’Assise di Messina, la cui condanna era stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione lo scorso anno. La Suprema Corte aveva richiesto una nuova valutazione, ritenendo che i giudici non avessero considerato a sufficienza il possibile impatto dello stress legato alla pandemia come attenuante per l’imputato. Tuttavia, il nuovo processo ha escluso ogni attenuante, confermando il carcere a vita per De Pace.
Le tesi della difesa e il rigetto della Procura
Durante il processo, i legali di Antonio De Pace hanno sostenuto che l’omicidio fosse frutto di un grave stato di angoscia e squilibrio psicologico, generato dal contesto pandemico. Secondo la difesa, non si trattava di un delitto di genere, ma di un gesto dettato da un profondo disagio.
La Procura generale di Reggio Calabria aveva parzialmente accolto questa linea, chiedendo una riduzione della pena a 24 anni di reclusione. Tuttavia, la Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Angelina Bandiera, ha stabilito che la brutalità del delitto non giustificava alcuna riduzione della pena.
La richiesta delle parti civili e il sollievo della famiglia di Lorena
Gli avvocati di parte civile, tra cui Giuseppe Barba e le avvocate Cettina Miasi e Cettina La Torre, avevano chiesto la conferma dell’ergastolo. Hanno sottolineato che un gesto così violento e premeditato non poteva beneficiare di alcuna attenuante.
Dopo la sentenza, il padre di Lorena ha espresso sollievo, definendo la decisione una forma di giustizia per sua figlia e per tutte le donne vittime di femminicidio. “Il Covid non c’entra nulla – ha dichiarato – la verità è che lui non si sentiva all’altezza di Lorena e l’ha uccisa”.
Un messaggio forte contro la violenza di genere
La decisione dei giudici manda un messaggio chiaro contro ogni forma di violenza di genere. Conferma che non possono esserci giustificazioni per crimini di tale gravità. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni.
A cura di Nadia Raimondi
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