Due anime e una distanza: la vertigine della parola
Ci sono amori che non chiedono di essere vissuti, ma soltanto detti. Yair Einhorn e Myriam, i protagonisti del romanzo di David Grossman, vivono un legame che si nutre dell’assenza, un rapporto fatto di inchiostro, di carta e di respiro trattenuto. Entrambi sposati, entrambi di Gerusalemme, scelgono di non toccarsi, di non violare il confine tra fantasia e realtà. Eppure, in quelle lettere scambiate per sei mesi – dal 3 aprile al 13 ottobre – c’è una passione che brucia più di mille corpi intrecciati.
Grossman non racconta una storia d’amore. Racconta la geografia del desiderio, la mappa invisibile che unisce due solitudini. Yair scrive, e scrivendo si denuda: confessa, sogna, si perde. Myriam risponde, ma la sua voce arriva solo attraverso gli echi delle sue parole. In questa asimmetria si annida la tensione del romanzo: un monologo che contiene due respiri, una corrispondenza che diventa specchio.

Che tu sia per me il coltello, David Grossman
Il corpo come linguaggio e come assenza
L’erotismo di Grossman non appartiene alla carne, ma alla mente.
“Ti desidero come si desidera un pensiero che non si lascia catturare”, sembra dire Yair a ogni riga.
L’immaginazione diventa corpo, il corpo diventa idea.
E in quel continuo scambio di lettere, lui e Myriam inventano un mondo parallelo, dove il sesso è parola e la parola è carezza.
È un erotismo crudo, quasi doloroso, che spinge i personaggi ai margini della follia e li lascia sospesi tra la verità e la finzione.
Quando Yair chiama la moglie “Maya” e il figlio “Yidò”, lo fa per proteggere il suo segreto, ma anche per difendere la sua libertà.
C’è in lui un bisogno disperato di autenticità, e insieme una paura feroce di viverla davvero.
Scrivere diventa il suo modo di esistere senza rischiare di morire.
Ma ogni parola, ogni lettera spedita, scava più a fondo, fino a trasformare la distanza in dipendenza.
L’amore come pericolo, la scrittura come abisso
Nella seconda parte del romanzo, Grossman affida la narrazione al diario di Myriam.
È il suo grido, la voce di una donna che ha creduto alla magia delle parole e si ritrova a inseguire un fantasma.
Yair, spaventato dalla possibilità di rendere reale il loro legame, sceglie di sparire.
Lei, invece, sceglie di cercarlo.
E in questo gesto c’è tutta la tragedia dell’amore contemporaneo: una corsa verso chi non vuole farsi raggiungere.
Grossman costruisce una tensione quasi musicale, alternando dolcezza e crudeltà, confessione e silenzio.
Ogni lettera diventa una lama che taglia l’anima, ogni parola un tentativo di possesso.
Quando Yair infine rivela il suo nome e il suo indirizzo, non è una resa, ma un addio.
È come se dicesse: “Ora sai chi sono, ma non mi avrai mai.”
L’eternità nel silenzio
Il romanzo di David Grossman non parla solo d’amore, ma del bisogno umano di essere visti senza essere presi, amati senza essere divorati.
Yair e Myriam sono due creature moderne, intrappolate tra la fame di intimità e la paura di perderla.
Il loro legame, confinato nelle lettere, diventa un luogo sacro, una trappola luminosa dove la parola è insieme salvezza e condanna.
“Scrivere è come fare l’amore con l’assenza” sembra sussurrare il romanzo.
E quando arriva l’ultima lettera, lunga, dolorosa, struggente, capiamo che l’unico incontro possibile è quello immaginato.
Perché certi amori non si consumano: bruciano in eterno nel punto in cui finiscono.
Grossman, con la sua prosa lirica e tagliente, ci ricorda che l’amore, quando è vero, non cerca consolazione.
Cerca soltanto uno spazio dove poter dire: “Ti ho sognato, dunque sei esistito”.
A cura di Veronica Aceti
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