L’illusione dell’inclusione: la divisione dell’umanità

l'illusione dell'inclusione

Dall’integrazione all’estrema categorizzazione: riflessioni sull’unità umana

Sono (anche) altoatesina, ai miei tempi si andava a scuola e la mia compagna di classe esclamava: “stanotte è scoppiata una bomba nel cassonetto dell’immondizia del mio cortile”. La lotta tra italiani e tedeschi era ancora un dato di fatto, poi venne la pace, l’integrazione, l’inclusività. Si cominciò a dare lavoro ad entrambi secondo la proporzionale: assegnare posti di lavoro in base alla madrelingua. Contemporaneamente secondo la proporzionale si cominciò a pensare alle quote rosa un po’ ovunque per assegnare alla controparte femminile posti usualmente assegnati agli uomini. La proporzionale in base alle categorie crebbe in una folla di sottogruppi fino ad arrivare oggi a Hollywood, a produzione di film dove includere una persona per categoria, in un sottosistema che assomiglia al complicato catalogo di un’enciclopedia, dove ad ogni voce corrisponde una specie particolare. La specie umana, invece di tendere all’unione, con la storia dell’inclusione si è divisa in una serie infinita di sottoinsiemi. Ecco che quindi nel film holliwoodiano troviamo: bianchi, neri e asiatici, corporature allargate e sottili, bionde, more, le rosse ormai estinte, ricchi, poveri, uomini, donne etero e donne e uomini del gruppo lgbt che continua a diramarsi in nuove classificazioni. Invece di essere tutti semplicemente persone in un’unità che ci renderebbe davvero uguali, abbiamo deciso di differenziarci gli uni dagli altri ed esprimere l’enorme divario che corre tra di noi ghettizzandoci in sottosistemi. In un mondo che tende al mondialismo e all’unità culturale attraverso i social, dove le barriere di nazionalità, etnie e sessi sono sempre più sottili visto il dilagare delle abitudini e dei prodotti commerciali uniformati, che senso ha continuare a dividere ulteriormente la popolazione in sottoinsiemi? Che senso ha proclamare l’uguaglianza dei popoli se continuiamo ad affibbiare etichette l’uno all’altro quasi prendendo reciproche distanze?

La libertà di essere tutto e di saltare da una categoria all’altra a seconda delle mode

Usciamo dalle propaggini retrograde dell’ottocento che vedevano le donne simili ad animali incapaci di votare ma oggi l’essere donna è diventata la bandiera di un partito di diritti rosa ad oltranza. Sei donna e quindi esci da millenni di schiavitù e vuoi intrinsecamente farla pagare ad ogni costo al tuo nemico uomo. Sei gay e esci da millenni di bullismo e vuoi affermare la libertà di essere ciò che non hai mai avuto, nei secoli precedenti, il permesso di fare. Sei nero e vuoi il tuo ovvio posto nel mondo. Sei bianco e ti senti in colpa per quello che hai fatto con la schiavitù all’Africa e all’Asia. Sei bello vuoi dimostrare che potresti pure essere intelligente. Ti senti brutto e affermi che ci sono tanti codici di bellezza. Sei obeso e dici grasso è bello anche se ti porta diabete e colesterolo a mille. Invece di sentirci tutti fratelli uguali anche se diversi ma in unico gruppo di persone, siamo uno contro l’altro, abbiamo deciso che identificarci mentalmente con una categoria o l’altra è un diritto e nulla ci toglie la bizzarria di identificarci in un insetto se vogliamo farlo. La libertà di essere tutto e di saltare da una categoria all’altra a seconda delle mode, è diventata possibile.

Io tutte queste categorie le ammazzerei. Siamo fondamentalmente esseri umani. Bisogna insegnare ai nostri figli l’enorme valore dell’essere persone se pur diverse. Se sei obeso puoi cercare di dimagrire per diventare sano ma chiaramente sei meraviglioso cosi come nelle favole un orso pacioccone e caldo è simpatico quanto un coccodrillo magrissimo ma freddo. Nelle fiabe antiche ci sono solo buoni e cattivi, non tutti buoni come oggi si intende suggerire, ed è forse questa l’unica categorizzazione che dovremmo fare: appartieni al paradiso o all’inferno? Perché le categorizzazioni del corpo sono inutili di fronte all’unica dualità che conta: quella dell’anima.

A cura di Melanie Francesca
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