La propaganda non è un fantasma del passato, ma una realtà tangibile che continua a plasmare la nostra percezione degli eventi contemporanei. Mentre assistiamo alle crisi internazionali in corso, è fondamentale interrogarsi: siamo davvero al sicuro dalla manipolazione dell’informazione che ha caratterizzato i regimi totalitari del XX secolo?
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Le lezioni non apprese della storia
Due sono le scritte iconiche che ho potuto vedere con i miei occhi. La prima è quella di Hollywood, che mi ha catapultata immediatamente nel set del “sogno americano”. La seconda è “Arbeit macht frei”, che mi ha risucchiata, invece, in un incubo. Dalla bella Cracovia alla terrificante Auschwitz, tutto in poco tempo, esattamente come tutto può cambiare nel corso di qualsiasi conflitto. Non che fosse necessario toccare con mano l’orrore, ma sentivo il bisogno di vedere con i miei occhi, concretamente e non solo più a livello di film, libro o documentario, cosa gli esseri (dis)umani siano stati capaci di concepire. In questo caso, cosa la follia di un regime abbia potuto fare durante la Seconda Guerra Mondiale. Un conflitto il cui epilogo si può tracciare proprio con la scoperta dei campi di concentramento. La sconfitta della Germania nazista portò alla liberazione dei centri di sterminio come Auschwitz, Buchenwald e Bergen-Belsen. Qui gli Alleati trovarono condizioni disumane e prove degli orrori della Shoah. Queste scoperte rivelarono al mondo le atrocità commesse dai seguaci di Hitler. Orrori nascosti o volutamente non compresi… un’intera opinione pubblica deresponsabilizzata grazie alla complicità dell’informazione del periodo, costruita ad hoc.
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Il regime nazista utilizzò una propaganda ingannevole per nascondere la vera natura dei campi di concentramento. Un esempio tra tanti, il campo-ghetto di Theresienstadt, presentato come un “insediamento modello” per gli ebrei. In realtà, un luogo di raccolta e smistamento verso i campi di sterminio. Nel 1944, in previsione di una visita della Croce Rossa, il campo fu “ristrutturato” con la costruzione di una piscina e giardini. Gran parte della popolazione fu trasferita per ridurre il sovraffollamento. Successivamente, fu girato un film di propaganda diretto da Kurt Gerron (un attore, regista e cantante tedesco di origine ebrea), che mostrava gli ebrei impegnati in attività quotidiane e culturali, come concerti e sport. Questo documentario era destinato a diffondere l’idea che i campi fossero luoghi sicuri e accoglienti, mentre in realtà la maggior parte degli attori, così come il regista, furono deportati e uccisi ad Auschwitz. “Poco importa”, la strategia di comunicazione risultò vincente, la propaganda nazista riuscì così a ingannare l’opinione pubblica internazionale, occultando le atrocità commesse. Gli unici a conoscere la verità erano le persone direttamente coinvolte, chi in veste di carnefice, chi in quella di vittima.
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Le voci inascoltate della verità
Nel secondo schieramento, quello delle vittime, tanti bambini che, attraverso la loro innocenza violata dal conflitto, scrissero testimonianze senza filtri, alcune delle quali sono arrivate sino a noi. Mentre la stampa taceva o edulcorava le informazioni, i diari scritti dai bambini ebrei durante l’Olocausto offrono ancora oggi una testimonianza cruda e diretta delle atrocità subite. Una voce pura che sfugge alla censura e alla manipolazione. Il diario più famoso è sicuramente quello di Anne Frank, scritto durante la sua segregazione volontaria e necessaria ad Amsterdam (in un nascondiglio allestito nel retro dell’edificio dell’impresa di famiglia, al numero 263 di Prinsengracht) per scappare dalla ferocia del regime nazista. Uno sguardo sulla sua vita, sulla routine che tentava di portare un po’ di normalità su una quotidianità stravolta, Sfaccettature descritte con gli occhi di un’adolescente. Nei suoi scritti, la paura costante della deportazione e tutta la sua consapevolezza: “Le mie più care amiche sono state gettate chi sa dove o sono già morte. Che angoscia, pensare a tutti coloro con cui mi sono sempre sentita intimamente legata e che ora sono caduti in mano ai carnefici più crudeli che esistano! E tutto questo perché sono ebrei”.
Anche Rutka Laskier, una ragazza polacca di Bedzin, così documentò la brutalità dei nazisti: “Se solo potessi dire che tutto finirà presto e che torneremo alla vita normale… Ma non posso. Anche se sopravviviamo, le ferite rimarranno per sempre”. Rutka riportava anche scene di violenza viste nel ghetto, come l’uccisione di bambini davanti ai loro genitori. Lidia Maksymowicz, deportata ad Auschwitz-Birkenau da bambina, racconta invece la sua esperienza nel campo di sterminio. Lidia ricorda come sua madre, rischiando continuamente la vita, cercasse di procurarle cibo, come un pezzo di cipolla o di pane, che veniva lasciato di nascosto da cittadini esterni al campo. Petr Ginz, un adolescente ceco deportato a Terezín, scrisse poesie e riflessioni sulla vita nel campo. In una composizione, descrisse il cielo stellato come simbolo di speranza: “Anche se siamo chiusi qui dentro, le stelle brillano ancora sopra di noi”. Anche Helga Weiss scrisse il suo diario durante la prigionia nel campo di concentramento di Terezín. In uno dei suoi passaggi più toccanti annotò: “Ci trattano come animali. Non siamo più persone. Ma io voglio ricordare chi ero prima che tutto questo iniziasse”.
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La propaganda nell’era digitale
Quel che avete appena letto è una veloce analisi del passato ma… oggi cambiano i “protagonisti” ma lo schema rimane più che mai attuale se non reso ancor più deprecabile da elementi più “moderni”. Oggi, la propaganda ha assunto forme più sofisticate e pervasive. I social media, l’intelligenza artificiale e la velocità di diffusione delle informazioni hanno creato un terreno fertile per la manipolazione dell’opinione pubblica. Le crisi internazionali contemporanee, dai conflitti in Ucraina e Medio Oriente alle tensioni geopolitiche globali, sono accompagnate da una guerra dell’informazione tanto intensa quanto quella combattuta sul campo.
Le tecniche moderne di propaganda includono la disinformazione mirata, i deepfake, le echo chamber algoritmiche e la polarizzazione sociale orchestrata. Come nel caso di Theresienstadt, oggi assistiamo a “realtà alternative” costruite ad arte per influenzare la percezione pubblica degli eventi.
Come smascherare la propaganda moderna
Riconoscere la propaganda richiede vigilanza costante e strumenti di analisi critica. Ecco alcune strategie fondamentali:
Diversificazione delle fonti: Non affidarsi mai a un’unica fonte di informazione. Confrontare notizie provenienti da media diversi, con orientamenti politici differenti e origini geografiche varie.
Verifica dei fatti: Utilizzare siti di fact-checking indipendenti e controllare sempre la veridicità delle informazioni prima di condividerle.
Analisi del linguaggio: Prestare attenzione all’uso di termini emotivamente carichi, generalizzazioni eccessive e la mancanza di sfumature nei racconti.
Controllo delle fonti primarie: Risalire sempre alle fonti originali delle informazioni, distinguendo tra testimonianze dirette e interpretazioni di seconda mano.
Awareness dell’algoritmo: Essere consapevoli che i social media mostrano contenuti selezionati algoritmicamente, creando bolle informative che possono distorcere la realtà.
Educazione mediatica: Sviluppare competenze di lettura critica dei media e comprensione dei meccanismi di produzione dell’informazione.
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I Segnali di Allarme Contemporanei
Nelle crisi attuali, possiamo identificare alcuni pattern tipici della propaganda: la desumanizzazione del nemico, la semplificazione eccessiva di conflitti complessi, l’uso strategico delle immagini emotivamente impattanti e la creazione di narrazioni manichee che dividono il mondo in “buoni” e “cattivi”.
Le testimonianze dal campo, come quelle dei bambini durante l’Olocausto, oggi arrivano attraverso video sui social media, testimonianze dirette di giornalisti embedded e report di organizzazioni umanitarie. Tuttavia, anche queste possono essere manipolate o strumentalizzate per scopi propagandistici.
La responsabilità individuale e collettiva
Queste solo alcune delle terribili testimonianze di uno dei pezzi più tristi della nostra storia. E la memoria di quanto accaduto, la storia appunto, dovrebbe insegnare a tutti noi a non ripetere gli stessi errori. Nel pensarlo, però, lo ammetto, sento un brivido d’inquietudine percorrere la mia schiena…
La storia ci insegna che la propaganda prospera quando le società abbandonano il pensiero critico e si affidano ciecamente alle narrazioni dominanti. La complicità dell’informazione nel periodo nazista non era solo questione di censura diretta, ma anche di autocensura, conformismo e disimpegno civico.
Oggi, più che mai, abbiamo la responsabilità di essere cittadini informati e critici. La democrazia dell’informazione richiede partecipazione attiva: verificare, questionare, confrontare e, soprattutto, non smettere mai di cercare la verità oltre le apparenze.
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La vigilanza come antidoto
La propaganda non è scomparsa con la fine dei regimi totalitari del XX secolo. Si è evoluta, adattandosi alle nuove tecnologie e alle dinamiche sociali contemporanee. Le crisi internazionali in corso ci offrono esempi quotidiani di come l’informazione possa essere manipolata per influenzare l’opinione pubblica.
La lezione della storia è chiara: solo attraverso la vigilanza costante, l’educazione critica e l’impegno civico possiamo proteggerci dalla manipolazione. Le voci pure di Anna Frank, Rutka Laskier e degli altri bambini che hanno testimoniato l’orrore ci ricordano l’importanza di preservare la verità e di non permettere mai più che la propaganda possa nascondere o giustificare l’ingiustizia.
In un’epoca di information overload e polarizzazione crescente, la nostra capacità di discernere la verità dalla propaganda non è solo una competenza utile, ma un dovere democratico fondamentale.
A cura di Laura Farnesi
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