Il genere del reality americano su modello dei Kardashians è ormai per tutti noi un inevitabile appuntamento. Primo perché è rilassante nella levità in cui vengono trattati i temi dell’esistenza, secondo perché come in La famiglia di Sylvester Stallone, oltre che a percorrere mezza California, ti trovi in un climat che sta a mezzo tra Rocky e i drammi rosa di Paris Hilton, con Stallone che pettina il suo gatto e la moglie che piange sull’ultima figlia che lascia il nido partendo per l’università di Miami, consolandosi pescando una cernia gigante. È tutto molto patinato nelle 3 figlie dai 20 ai 26 anni, truccate a puntino e sottili come modelle, al punto che confrontate alle amiche sembrano un prodotto della fashionweek parigina, il che ti fa venire il dubbio o che Stallone non sia così alto o che loro siano effettivamente stangone.
Si chiamano in ordine Sophie, Sistine e Scarlett la più giovane. Con loro andiamo dallo zio Frank, la cui casa sembra un mausuleo del fratello con calchi del suo torace fusi in bronzo, cimeli della saga di Rocky e satue di cera. Loro cavalcano, giocano a golf spinte dal padre che le vorrebbe professioniste, gareggiano a sparare con pistole e fucili come da copione, il clima tipico della high class americana, villa a Palm Beach sul mare compresa. Per fortuna la serie ci evita le manicure e le maschere facciali dei Kardashians e le confessioni dei propri traumi su sfondo bianco atemporale sono meno automatiche.
C’è Sophie che racconta le sue operazioni al cuore con qualche lacrima, le reazioni dei genitori a pezzi durante l’intervento, la paura nel dover affrontarne un altro. Sistine si lamenta che un padre così possessivo non è sempre un vantaggio e la difficoltà di avere un ragazzo dopo che il genitore li ha messi tutti in fuga con uno sguardo. Stallone, maschio alfa nella vita come nei film, non vuole accettare che stiano crescendo. La moglie che “è troppo buona” secondo uno Sly dallo sguardo carico d’amore, sforna torte e pancakes ed è il ritratto della madre ideale californiana, poco plastificata se pur evidentemente liftata.
La verità però fa acqua nella struttura del reality-ideality: dove è la memoria dei precedenti matrimoni e dei tradimenti di Sly? Perché ci sono Al Pacino e Dolph Lungren per dare un certo tocco hollywoodiano, ma manca il passato familiare nel figlio autistico Sargeoh, avuto dal primo matrimonio durato dieci anni con Sasha Czack, di cui Sly non ama molto parlare? Anche la memoria del figlio morto è stata rimossa, forse i veri drammi non hanno spazio ad Hollywood? Non si spiega nemmeno cosa facciano le figlie maggiori oltre al podcast che hanno creato e a tentativi di diventare scrittrici e perché il nido di casa sia vuoto visto che loro sono sempre là.
Dopo il primo matrimonio e il secondo bliz con Birgit Nielsen, Sly sposa la modella Jennifer Flavin e con questo reality celebra gli oltre 35 anni di matrimonio. Bellissimi, ideali, nonostante le grandi distanze di spazio e di tempo per la professione di attore che lo costringeva a lunghe assenze di mesi. Sicché anche le figlie ritrovano un padre e uno zio nel reality più di quanto forse lo siano entrambi stati in passato. È tutto così impeccabile che ti viene un attacco di invidia. Anche quando vai in internet e scopri il file del divorzio firmato nell’agosto 22 dalla Flavin che però rientra altrettanto tempestivamente con un “abbiamo deciso di risolvere i nostri problemi”.
Alla fine ciò che conta è lavoraci sopra e rendersi conto della fortuna che hai e a cui non puoi rinunciare. E se hai bisogno di girare un reality per ritrovare la colla familiare che ti teneva unito in un progetto comune, beh… benvenga il reality. Anche se avremmo preferito meno sogno e che il reality non si fosse trasformato come tutti gli altri in un Ideality.
A cura di Melanie Francesca
Leggi anche: Andrea Foriglio: salute, benessere e progetti futuri innovativi