Un’icona letteraria in un mondo dominato dagli uomini
Adeline Virginia Stephen, nata il 25 gennaio 1882 a Londra, divenne famosa con il nome di Virginia Woolf. Divenne una delle voci più autorevoli del modernismo letterario del Novecento e del pensiero femminista. Ma la sua esistenza fu un altalena drammatica tra momenti di brillante creatività e abissi di disperazione.
In un’epoca in cui le donne venivano relegate in un ruolo subordinato, Virginia osò pretendere di essere ascoltata. Con parole che ancora oggi risuonano come un manifesto di libertà, scrisse in Una stanza tutta per sé: «Una donna deve avere soldi e una stanza suoi propri se vuole scrivere romanzi».
L’infanzia tra arte, disuguaglianze e ferite profonde
La giovane Virginia crebbe in una casa in cui si respirava cultura. Il padre, Leslie Stephen, letterato e storico, animava un ambiente colto e aperto, frequentato da artisti, scrittori e filosofi. Ma il sapere aveva un prezzo: solo i fratelli maschi potevano frequentare l’università, mentre le figlie ricevevano un’istruzione casalinga per poter accudire il padre.
Le estati in Cornovaglia le regalarono alcuni dei suoi ricordi più felici. La casa di villeggiatura si affacciava sull’oceano e su un faro, che più tardi avrebbe ispirato il romanzo Gita al faro, la cui copertina fu illustrata dalla sorella Vanessa Bell, pioniera dell’impressionismo in Inghilterra.

Virginia Woolf ph wp
Ma la serenità svanì presto. Il 5 maggio 1895, la madre morì di febbre reumatica, quando Virginia aveva solo tredici anni. Questo evento provocò la sua prima grave crisi depressiva. A peggiorare il suo stato emotivo, due anni dopo, morì anche la sorellastra Stella Duckworth. Nei suoi scritti autobiografici Virginia parlò anche degli abusi subiti dai fratellastri, figli di un precedente matrimonio della madre. Quelle violenze scavarono un solco profondo nella sua psiche e comprometterono per sempre la fiducia negli uomini, alimentando invece un’intensa idealizzazione del legame femminile.
Nel 1905, dopo una lunga malattia, anche il padre Leslie Stephen morì. Poco dopo, Virginia, ancora non ventitreenne, tentò il suicidio per la prima volta. Sopravvisse, ma affrontò un forte esaurimento nervoso e venne ricoverata.
Il circolo di Bloomsbury: un rifugio di pensiero e libertà
Dopo la morte del padre, Virginia, Vanessa, Adrian e Thoby si trasferirono a Bloomsbury. La loro casa divenne presto un punto di riferimento per il pensiero progressista. Intellettuali del calibro dell’economista John Maynard Keynes, dei filosofi Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein, dello scrittore T.S. Eliot e della suffragetta Emmeline Pankhurst frequentarono le loro serate.
Quel gruppo, che prese il nome di “Bloomsbury Group”, rappresentò per Virginia una boccata d’aria rivoluzionaria. Si parlava apertamente di uguaglianza, pacifismo, arte, omosessualità, femminismo ed ecologia. In quell’ambiente libero, la mente tormentata di Virginia trovò nuovi stimoli per scrivere, creare e amare.
Amore, dolore e il potere salvifico della scrittura
Nel 1912 Virginia sposò Leonard Woolf, scrittore, editore e teorico politico. Ma il matrimonio non spense i suoi demoni. Tra il 1913 e il 1915 affrontò le crisi peggiori. Il 9 settembre 1913 ingerì cento grammi di veronal, in un secondo tentativo di suicidio. Anche questa volta sopravvisse, ma continuò a convivere con un’oscillazione continua tra euforia e depressione.
Il successo arrivò nel 1925 con La signora Dalloway, un romanzo ambientato a Londra nel corso di una sola giornata. L’opera, costruita con il flusso di coscienza, esplora con intensità la mente dei personaggi. Racconta anche la tragica fine di un reduce di guerra, che si toglie la vita: una ferita collettiva e personale che rispecchiava quella dell’autrice.
Quell’anno Virginia incontrò anche Vita Sackville-West, scrittrice e nobildonna. Tra le due nacque una relazione intensa, fatta di passione, affinità e libertà. Pur rimanendo entrambe sposate, continuarono ad amarsi e sostenersi per tutta la vita.
Minacciata dal nazismo e dal buio interiore
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Adolf Hitler stilò una lista nera di intellettuali britannici da eliminare in caso d’invasione: tra i nomi figuravano Aldous Huxley, H.G. Wells e Virginia Woolf. Virginia, ignara della lista, sapeva però che il pericolo incombeva. Essendo Leonard ebreo e lei un’attivista nota, la coppia pianificò il suicidio nel caso la Germania avesse invaso l’Inghilterra. Leonard, con l’aiuto del fratello psichiatra Adrian Stephen, teneva nascosta una fiala di morfina nel caso estremo.
Le crisi depressive continuarono a colpirla. A volte Virginia affermava di sentire gli uccelli cantare in greco. Quelle esperienze allucinatorie diventarono materia letteraria: si riflettono nei suoi romanzi, da Gli anni a La signora Dalloway, e mostrano una mente in bilico tra lucidità e abisso.
L’ultimo addio al mondo e l’eredità luminosa
Virginia trovò nei personaggi che creava un riflesso delle sue ombre interiori: l’angoscia, la malinconia, il senso di colpa. Era terrorizzata dalla solitudine e si mostrava sempre spietata verso se stessa. Alcuni medici le consigliarono di smettere di scrivere, ritenendo che l’atto creativo peggiorasse i suoi disturbi. Ma Virginia non rinunciò mai del tutto alla sua voce.
Il 28 marzo 1941, sopraffatta dalla disperazione, Virginia indossò il cappotto, lo riempì di sassi e si immerse nelle acque del fiume Ouse. Prima di compiere quel gesto definitivo, scrisse due lettere: una alla sorella Vanessa Bell e l’altra al marito Leonard Woolf. Le sue parole traboccano di dolore, amore e gratitudine. Tre settimane dopo, il suo corpo riaffiorò e Leonard decise di cremare i resti e spargere le ceneri nel giardino della loro casa a Monk’s House.
Una voce eterna per il futuro delle donne
Virginia Woolf credette sempre nella scrittura come forma di riscatto e rivoluzione. Incoraggiò le donne a esprimersi, a osare, a differenziarsi dagli uomini. Scrisse:
«Sarebbe un gran peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o vivessero come loro, o assumessero il loro aspetto; perché se due sessi non bastano, considerando la vastità e la varietà del mondo, come potremmo cavarcela con uno solo? L’educazione non dovrebbe forse sottolineare e accentuare le differenze, invece delle somiglianze?»
La sua eredità vive ancora oggi, nel coraggio di chi scrive, nel dolore che diventa parola, e nella lotta di ogni donna per trovare la propria stanza.
A cura di Veronica Aceti
Recensione con i libri di Veronique