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L’insostenibile leggerezza dell’essere

Il vero capolavoro di Milan Kundera

by Veronica Aceti
l'insostenibile leggerezza dell'essere

L’autore che si fa voce e specchio

È un amore disinteressato: Tereza non vuole nulla da Karenin. Non vuole nemmeno l’amore. Non si è mai posta quelle domande che torturano le coppie umane: mi ama? Ha mai amato qualcuna più di me? Mi ama più di quanto lo ami io? Forse tutte queste domande rivolte all’amore, che lo misurano, lo indagano, lo esaminano, lo sottopongono a interrogatorio, riescono anche a distruggerlo sul nascere. Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere amati, vale a dire vogliamo qualcosa (l’amore) dell’altro invece di avvicinarci a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza.

Un mio amico di vecchissima data, tanti anni fa, mi regalò L’insostenibile leggerezza dell’essere. Fui rapita dalle parole di Kundera, dallo svelare più che dal mostrare una grande verità dell’umano.

L'insostenibile leggerezza dell'essere

L’insostenibile leggerezza dell’essere

La leggerezza ha bisogno del pesante, e viceversa.
In questo romanzo, quella tensione diventa racconto, corpo, sguardo, respiro.
Credo di averlo letto talmente tante volte da bruciare le parole con gli occhi. Non avevo capito subito. Ero rimasta abbagliata, confusa ma ho avuto bisogno di riprenderlo più volte per collocare l’immagine da me così lontana di un rapporto.

Anime in bilico, Tomas e Tereza

Siamo nella Cecoslovacchia degli anni Sessanta, in un’Europa lacerata e inquieta, in bilico tra la libertà interiore e la repressione politica. Al centro della storia si muove Tomas, medico brillante e seduttore instancabile, che attraversa la vita come se fosse un sogno leggero, senza conseguenze. Ma l’incontro con Tereza, giovane donna fragile e intensa, lo richiama verso il profondo. Lei rappresenta il peso, la responsabilità, il legame. E proprio quel peso, a poco a poco, diventa scelta d’amore.

Accanto a loro c’è Sabina, pittrice ribelle e anima libera, che fugge da ogni vincolo, da ogni etichetta, incapace di appartenere. E poi Franz, l’intellettuale idealista, che cerca nella politica e nella passione un senso più grande, un’appartenenza che dia forma al caos. Le loro storie si intrecciano e si dissolvono come linee disegnate sull’acqua. Sono anime che si cercano senza sapere come trovarsi davvero, come salvarsi.

Una richiesta da parte di Kundera… non giudicate, pensate

Kundera non costruisce una trama nel senso tradizionale. Gioca con il tempo, interrompe la narrazione, riflette, ci guarda in faccia. Entra nei pensieri dei suoi personaggi e li sospende in un teatro dell’esistenza, dove nulla è definitivo e tutto è in discussione. Ci chiede: cos’è la vita, se tutto accade una sola volta?
“Einmal ist keinmal”: una volta è come mai. E allora tutto è lieve. Ma in quella leggerezza c’è anche la vertigine dell’insensatezza, il rischio di non lasciare traccia.

La scrittura di Kundera è chirurgica e lirica allo stesso tempo. Scava, ma con delicatezza. Ogni parola pesa, ogni immagine suggerisce più di quanto dice. Il corpo, l’amore, il tradimento, il silenzio: tutto diventa pensiero incarnato. Non c’è morale, non c’è giudizio. C’è solo la vita, con la sua incoerenza e la sua struggente bellezza.

Non vi si toglierà più dalla pelle

L’insostenibile leggerezza dell’essere non si legge, si attraversa. È un’esperienza. È un vento che ti scuote e ti lascia nudo, con domande più grandi di te. È un libro che non dà risposte ma spalanca ferite – e forse proprio per questo, guarisce.
Un romanzo per chi non ha paura di farsi domande, e per chi ha già capito che ogni leggerezza porta con sé il suo peso.

A cura di Veronica Aceti

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