Cate Blanchett

Cate Blanchett è il nuovo concetto di potere femminile

by Veronica Aceti
Cate Blanchett

Fredda, elegante, magnetica. Non deve piacere, lei deve dominare la scena. Un’autorità che nasce dal saper occupare tutto lo spazio intorno a sé

Cate Blanchett non grida, non si impone. Appare. Ed è in quell’apparizione, mai teatrale, mai compiaciuta, che accade qualcosa di inspiegabile. Entra in una stanza — o in una scena — e l’aria cambia densità. Non è carisma, è una forma di gravità personale, come se la sua semplice presenza obbligasse il mondo a prendere posizione.

Ha quella bellezza che non riguarda la simmetria del volto, ma la precisione del gesto. È eterea senza essere fragile, elegante senza mai risultare costruita. Bellissima, sì. Ma non per conformità.
Bellissima nonostante certe spigolosità, grazie a quelle ombre, a quella distanza.
Bellissima perché irraggiungibile.

E poi, la trasformazione. Cate non recita, trasmuta. Si scioglie nei personaggi e si ricompone in forme sempre nuove. Può essere regina, criminale, aliena, madre, Dio. E tutte queste creature le abitano il volto con la stessa naturalezza con cui noi indossiamo una giacca.
Ma in ogni ruolo, c’è sempre un angolo di Cate che resta intatto: quella lucidità tagliente, quel non aver bisogno di piacere, quel fascino che inquieta e attrae insieme.

È la prova vivente che una donna può cambiare volto cento volte senza mai perdere sé stessa.
E che, anzi, è proprio in quella mutevolezza che abita il vero potere.

La fine dell’“angelo del focolare”

La figura femminile nel cinema ,e non solo, che ha retto per decenni lo stesso copione. La madre accogliente, la compagna devota, la giovane desiderabile. Blanchett frantuma ogni archetipo. In TÁR, ad esempio, interpreta una direttrice d’orchestra autoritaria ,manipolatrice, geniale e inquietante. Una donna che si comporta esattamente come si sono comportati per secoli i grandi uomini: con arroganza, lucidità e potere reale.

Eppure, appena una donna lo fa, la platea si irrigidisce. Come se non fosse ancora pronto il mondo a vedere una donna che non chiede scusa per comandare. Cate non solo interpreta questi ruoli, ma li rivendica. Li mostra in tutta la loro scomodità. Non per provocare, ma per affermare che il potere non ha genere. Solo forma.

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Il magnetismo dell’algido

Non è calda. È fiera. Non accogliente. È intoccabile. E questa scelta – perché di scelta si tratta – la rende mostruosamente affascinante. Il suo volto regale, gli occhi imperscrutabili, la postura che comunica una disciplina feroce… tutto in Blanchett grida non toccarmi, ma guardami finché non riesci a smettere.

Il suo potere non è quello di attrarre: è quello di comandare lo sguardo.
Non è seduttrice come le dive classiche, ma una nuova figura mitologica: la donna che si fa potere, senza cercare l’amore del pubblico. Solo la sua resa.

Quando il talento diventa autorità

Blanchett non recita, non gioca, non piange per farsi amare. Costruisce imperi narrativi dentro ogni personaggio. La sua voce, le pause chirurgiche, lo sguardo che scava… ogni elemento serve a scolpire una presenza.
E in questo, è profondamente femminile, nel senso più spiazzante del termine. Perché rifiuta il bisogno di piacere.
Perché mostra che una donna può essere adorata anche quando fa paura.

E forse è proprio questa la sua lezione più potente.
Che la forza femminile non ha più bisogno di giustificarsi, né di giustificare il proprio talento.
E che, oggi, non è più la donna ad adattarsi alla scena.
È la scena che si piega, lentamente, davanti a lei.

A cura di Veronica Aceti
Recensione con i libri di Veronique

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