Home Donna NewsCoco Chanel, l’icona che ha rivoluzionato la moda

Coco Chanel, l’icona che ha rivoluzionato la moda

Dall’abbandono alla leggenda, la straordinaria ascesa di una donna indomabile

by Veronica Aceti
coco chanel con dmitriy pavlovich

Coco Chanel non fu solo una stilista, fu un uragano inarrestabile, un’anima indomita che trasformò il dolore in bellezza, l’abbandono in determinazione, la solitudine in stile. Dietro la sua eleganza severa e il suo sguardo tagliente si nascondeva un’infanzia marchiata dal gelo dell’abbandono e dalla fame di riscatto.

Nata nel 1883 in una famiglia povera, Gabrielle Bonheur Chanel conobbe presto la ferita del rifiuto. Sua madre morì quando aveva solo dodici anni, lasciandola in balia di un padre sfuggente, un venditore ambulante dal cuore di pietra, che invece di proteggerla la scaricò in un orfanotrofio. Fu un addio senza parole, senza spiegazioni. Lui partì e non tornò mai più.

Dall’orfanotrofio alla scoperta della moda

coco chanel con winston churchill

coco chanel con winston churchill PH WP

Nel convento di Aubazine, tra mura fredde e preghiere sussurrate, Gabrielle imparò il significato dell’assenza. Il silenzio delle notti senza affetto si trasformò nella sua prima lezione di autodisciplina. Nessuno l’avrebbe salvata, se non lei stessa. Le suore le insegnarono a cucire, ma la vera stoffa era la sua tempra: ostinata, inflessibile, feroce.

A diciotto anni lasciò il convento e si reinventò. Dapprima lavorò come sarta e poi come cantante nei caffè-concerto, dove nacque il soprannome Coco, ispirato a una canzone che interpretava. Ma lei non era fatta per essere una ragazza di contorno. Voleva di più.

Gli uomini e l’ambizione

Gli uomini furono per Coco passioni, ma anche strumenti di scalata sociale. Nessun sentimentalismo, solo una lucida consapevolezza: in un mondo governato dagli uomini, doveva usare ogni mezzo per avanzare.

Fu il ricco Étienne Balsan, un aristocratico annoiato, a introdurla nel mondo dorato dell’alta società. Ma fu Arthur “Boy” Capel, un uomo carismatico e sicuro di sé, l’unico amore vero della sua vita. Lui finanziò la sua prima boutique e credette nel suo talento. Ma Boy, nonostante l’intensità del loro legame, sposò un’altra donna. E poi la tragedia: nel 1919, morì in un incidente d’auto. Coco rimase devastata. “La sua morte fu la mia fine e l’inizio di me stessa”, confessò anni dopo.

Da allora, il suo cuore divenne una fortezza inespugnabile. Ebbe altre relazioni – il Granduca Dimitri di Russia, il duca di Westminster, l’artista Paul Iribe – ma nessuno riuscì a scalfire quella solitudine ostinata, quella malinconia elegante che la avvolse come un velo di chiffon.

Un’eredità di stile e rivoluzione

coco chanel 1931

coco chanel 1931 PH WP

Coco Chanel non cercò mai compassione. Trasformò il vuoto in creazione, la nostalgia in uno stile inconfondibile: essenziale, austero, sofisticato. Bandì gli eccessi, preferì il nero – il colore della notte, della perdita, ma anche della raffinatezza assoluta.

L’orfana diventò imperatrice, l’abbandonata divenne leggenda. Morì nel 1971, sola nella sua suite al Ritz, come aveva sempre vissuto: libera, indipendente, inaccessibile. Eterna.

L’ultimo giorno di Coco Chanel

Era il 10 gennaio 1971, una domenica d’inverno parigina, grigia e silenziosa. Coco Chanel si svegliò nella sua suite privata del Ritz, l’hotel che da anni era diventato il suo rifugio dorato. Aveva 87 anni, il corpo fragile ma lo sguardo ancora fiero, attraversato da lampi di orgoglio e malinconia.

chanel n°5

chanel n°5 PH WP

Passò la giornata con la sua cameriera, Celine, parlando a bassa voce, quasi come se sapesse che quello sarebbe stato il suo ultimo atto. Nel pomeriggio, si accomodò sul suo letto con lenzuola di lino immacolato, circondata dai suoi preziosi paraventi cinesi e dalle sue amatissime camelie di seta.

Poi, in un soffio, il suo respiro si fece lieve, il battito più lento. “Ecco, così si muore”, mormorò con un filo di voce, come se fosse l’ultima prova di stile da lasciare al mondo.

Se ne andò con la stessa sobria grandiosità con cui aveva vissuto: senza clamore, avvolta nell’ombra dorata del Ritz, nella città che aveva plasmato con la sua visione. Ma la sua essenza non svanì: rimase intessuta nelle trame dei suoi tailleur, nel profumo inconfondibile del N°5, nell’idea immortale che l’eleganza non è un vestito, ma un’attitudine.

A cura di Veronica Aceti
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