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La memoria che ferisce: fondazione dedicata all’assassino

La famiglia di Elisa Amato sprofonda nel dolore dopo la decisione del Tar

by Martina Russo
Elisa Amato - Federico Zini (PH fb)

Quella mattina del 26 maggio 2018, Federico Zini non riusciva ad accettare la fine della relazione con Elisa Amato, 29enne di Prato, sua ex compagna. Quel giorno, attorno all’alba, si è appostato sotto l’abitazione della giovane e, quando lei è uscita, l’ha costretta con la forza a salire nella sua vettura. Lungo la strada, le ha sparato, togliendole la vita. Si è poi diretto verso San Miniato, nel cuore della provincia di Pisa, e lì, in un parcheggio isolato, ha rivolto la pistola contro di sé, mettendo fine alla propria esistenza. Un duplice tragico epilogo che ha lasciato due famiglie distrutte e una comunità sconvolta.

Sette anni dopo, un nuovo evento scuote la vita della famiglia Amato: il Tribunale Amministrativo Regionale ha accolto il ricorso presentato dalla famiglia Zini, autorizzandola a costituire un ente contro la violenza di genere, purché non venga intitolato a Federico Zini. Una decisione che ha fatto riemergere tutto il dolore e la rabbia mai sopiti nei cuori di chi ha amato Elisa.

Il progetto mai accettato: il primo tentativo fermato nel 2018

 

Pochi mesi dopo l’omicidio-suicidio, Maurizio Zini, padre dell’assassino, aveva annunciato pubblicamente l’intenzione di creare una fondazione che promuovesse iniziative contro la violenza sulle donne, in memoria del figlio Federico. L’idea suscitò da subito una feroce indignazione. La Regione Toscana, informata dell’iter, intervenne rapidamente bloccando ogni passo verso l’iscrizione dell’ente al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, lo strumento ufficiale con cui si riconoscono le organizzazioni no profit in Italia.

Allo stesso tempo, Viola Erbucci, migliore amica di Elisa Amato, lanciò una petizione e una raccolta fondi per impedire la creazione della fondazione. Viola dichiarò pubblicamente: “Non possiamo permettere che l’immagine di un uomo che ha ucciso una donna venga utilizzata per rappresentare la lotta contro la violenza di genere“. Quella presa di posizione forte raccolse centinaia di adesioni e costrinse il progetto a un lungo silenzio.elisa amato (ph web)

Una sentenza che sconvolge: il Tar dà ragione alla famiglia Zini

Nel 2024, a sei anni dai fatti, Maurizio Zini ha deciso di ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale, contestando il diniego ricevuto. Il Tar ha infine emesso una sentenza che autorizza la famiglia a costituire l’organizzazione, con la condizione vincolante di non intitolarla a Federico Zini. Questa decisione, sebbene formalmente limitata, ha scatenato un’ondata di sgomento. Per la famiglia Amato, il solo fatto che venga creata un’associazione collegata al nome di chi ha distrutto la vita di Elisa è inaccettabile. In un’intervista concessa a La Nazione, Elena Amato, sorella della giovane vittima, ha raccontato con voce spezzata il suo stato d’animo: “Ho fatto della lotta contro la violenza sulle donne il senso della mia esistenza da quando mia sorella è stata strappata a questa vita“. Ha poi aggiunto: “Non avevamo idea che la famiglia Zini stesse ancora portando avanti questo progetto. Hanno investito soldi in avvocati per anni, ma non hanno mai pensato di contattarci o proporre qualcosa dedicato a Elisa“.

Il senso di esclusione e di mancato rispetto ha pesato enormemente su Elena, che ha sottolineato: “Non abbiamo mai ricevuto una telefonata, una lettera, un gesto di scuse. E ora scopriamo che si vuole costruire una fondazione legata a chi ha distrutto la nostra famiglia. Questo è inaccettabile“.

Un silenzio assordante: nessuna spiegazione da Maurizio Zini

La Nazione ha provato a contattare Maurizio Zini, per avere chiarimenti sul nome e gli obiettivi del nuovo ente. L’uomo ha risposto con poche parole: “Non rilascio dichiarazioni“. Nessun dettaglio è stato fornito, né su eventuali collaborazioni né sulle modalità di intervento dell’organizzazione. Il silenzio alimenta l’inquietudine e lascia spazio a interpretazioni dolorose.

Molte associazioni femministe e centri anti-violenza stanno seguendo il caso con crescente preoccupazione. Temono che questa decisione possa generare un pericoloso precedente, in cui l’attenzione venga spostata dai nomi delle vittime a quelli dei carnefici. L’identificazione della memoria pubblica è un campo delicatissimo e le modalità con cui si affrontano questi drammi sociali incidono profondamente nella coscienza collettiva.

Una campagna contro la fondazione: Elena Amato pronta a lottare

Elena Amato ha chiarito la sua intenzione di non muoversi legalmente, ma ha affermato con decisione: “Se sarà necessario, organizzerò una campagna pubblica per oppormi a questa fondazione. Spero che le istituzioni, i centri anti-violenza, e chiunque creda nel rispetto della memoria delle vittime, mi sostengano“. La sorella di Elisa ha poi concluso con parole che colpiscono al cuore: “Capisco il dolore dell’altra famiglia, ma non possiamo trasformare l’assassino in simbolo. Elisa è morta per aver voluto vivere libera. Questo deve restare il messaggio centrale“.

A cura di Martina Russo

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