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Senza veli sulla lingua

Caso Alberto Stasi

by Veronica Aceti
"Senza veli sulla lingua" ph wp

Questa settimana risponde la Dottoressa Roberta Catania – Psicologa, Criminologa, Psicodiagnosta- che collabora con l’Associazione “Senza veli sulla lingua”

Dott.ssa Roberta Catania – Psicologa, Criminologa, Psicodiagnosta PH WP

Dott.ssa Roberta Catania – Psicologa, Criminologa, Psicodiagnosta PH WP

-Cosa pensa dell’iter processuale affrontato da Alberto Stasi: è un esempio di giustizia che funziona, o un segnale che qualcosa si è rotto?

Il caso Stasi è, più che altro, l’emblema di una giustizia che fatica a trovare una direzione chiara, perché l’altalena di sentenze ha alimentato dubbi profondi sia nell’opinione pubblica che nei professionisti del settore. Eppure, non possiamo neanche liquidarlo come un sistema “rotto”: piuttosto, è un sistema sotto pressione, che evidenzia le criticità della nostra macchina giudiziaria. L’iter affrontato da Stasi dimostra quanto sia fragile il confine tra verità processuale e verità fattuale e quanto possa pesare l’assenza – o l’ambiguità – di prove decisive.

-Nordio ha escluso responsabilità dei magistrati, ma ha puntato il dito contro le leggi. È davvero solo colpa delle norme se un processo dura anni e ha esiti tanto contrastanti?

Dott.ssa Roberta Catania insieme all'Associazione "Senza veli sulla lingua"PH WP

Dott.ssa Roberta Catania insieme all’Associazione “Senza veli sulla lingua”PH WP

Le norme sono uno dei fattori, ma non l’unico. Abbiamo un sistema processuale complesso, con tre gradi di giudizio che, se da un lato garantiscono diritti fondamentali, dall’altro generano lentezze strutturali. Tuttavia, attribuire la responsabilità solo alle leggi rischia di deresponsabilizzare chi interpreta e applica quelle leggi. Anche l’organizzazione delle procure, la gestione delle risorse e la formazione continua degli operatori incidono. E poi c’è il fattore umano: la soggettività nella valutazione delle prove, le diverse impostazioni tra giudici, l’influenza del clamore mediatico. La giustizia non è fatta solo di codici, ma anche – e soprattutto – di persone.

-Secondo lei, è più pericolosa una condanna sbagliata o un’assoluzione di chi è colpevole?

Entrambe sono profondamente ingiuste, ma hanno implicazioni diverse. Una condanna sbagliata distrugge la vita di un innocente, lo priva della libertà e lo etichetta per sempre. È un fallimento gravissimo dello Stato. L’assoluzione di un colpevole, invece, mette a rischio la collettività e spesso lascia una vittima – o la sua famiglia – senza giustizia. Se dovessi scegliere, direi che la condanna di un innocente è la ferita più profonda che una democrazia

Dott.ssa Roberta Catania PH WP

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possa infliggersi, perché mina la fiducia stessa nel sistema. Ma nessuna delle due dovrebbe mai accadere. La vera sfida è prevenire entrambe.

-Se potesse cambiare una sola cosa nel processo penale italiano, da domani, quale sarebbe?
Introdurrei, senza esitazione, l’obbligo della videoregistrazione integrale degli interrogatori e delle dichiarazioni rese da indagati, imputati e testimoni. È una misura apparentemente semplice, ma avrebbe un impatto profondo. Permetterebbe di conservare la traccia autentica di ciò che è stato detto, di come è stato detto, del contesto in cui certe parole sono emerse. Troppe volte, nei processi, ci si trova a discutere su interpretazioni, trascrizioni parziali, ricordi sfumati. Avere una documentazione audiovisiva precisa ridurrebbe gli equivoci, tutelerebbe le persone coinvolte e aumenterebbe la qualità del lavoro degli operatori. È anche un modo per restituire dignità e verità a chi entra in un’aula di giustizia: perché ogni parola ha un peso, e ogni sfumatura può fare la differenza tra libertà e condanna.

 

A cura di Veronica Aceti

 Leggi anche: Senza veli sulla lingua

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