È difficile ascoltare senza farsi travolgere, agire senza farsi pietrificare dal dolore. Ma c’è chi lo fa ogni giorno, con tenacia, lucidità, e un cuore che non si arrende. Abbiamo incontrato l’avvocata Adalgisa Ranucci, civilista e Responsabile dell’Associazione “Senza Veli Sulla Lingua” per la Regione Lazio, per capire cosa significa stare dalla parte delle vittime, dare corpo e voce a chi rischia di diventare solo un numero, un nome tra le righe di cronaca nera.
“Non è solo un lavoro, è una missione”
-Di fronte all’ennesimo femminicidio, come riuscite a non farvi sopraffare?
“Chi opera in questo campo sa che non è solo un lavoro. È una missione.” Bisogna accantonare il dolore, lasciare spazio all’ascolto, all’azione concreta. Quando una donna varca la soglia della nostra Associazione, ciò che conta è mettersi in una posizione di ascolto puro, senza giudizio, capace di cogliere anche i segnali più sottili. Perché a volte è proprio da quelli che parte la salvezza. La nostra priorità è la sicurezza della vittima e dei suoi figli, ed evitare che quella storia abbia come epilogo la morte.”
“La narrazione mediatica spesso uccide due volte”
-Cosa manca nel racconto mediatico di queste tragedie?
“Più che chiedersi cosa manca, bisognerebbe chiedersi: cosa andrebbe evitato. Troppo spesso si cercano alibi per l’assassino. Il “raptus”, la “gelosia”, lo “stress”. Si cerca un senso nell’insensato, trasformando il carnefice in vittima e la vittima in colpevole.

Avvocata Adalgisa Ranucci PH IG
Ma la violenza non ha giustificazioni, in nessuna forma: fisica, psicologica, economica, verbale. I media dovrebbero educare, non giustificare. Raccontare i campanelli d’allarme, spiegare che quei segnali possono essere riconosciuti da chi legge e magari salvare una vita. Solo la formazione diffusa e continua potrà portarci a un vero cambiamento culturale. Non dobbiamo dimenticare le vittime, ma imparare da loro.”
“Non sempre si cerca una risposta. Spesso si cerca solo accoglienza”
-Quando una donna vi contatta dopo un fatto di cronaca, cosa cerca davvero?
“Cerca protezione, cerca risposte. Ma, soprattutto, cerca di essere creduta.” Le donne che vivono nella violenza sono spesso confuse, agitate, impaurite. Serve un supporto empatico e concreto, legale ma anche psicologico.
“L’ascolto è un atto d’amore e di rispetto. Serve tempo, tatto, fiducia. Non è facile raccontare il dolore. Non è facile nominare la paura. Le vittime hanno bisogno di riconoscersi tali, di comprendere che ciò che vivono non è normale, non è amore, non è colpa loro. Solo allora si può iniziare il percorso di liberazione.”

Formazione e sensibilizzazione rivolta agli studenti
“La violenza non inizia con uno schiaffo. Inizia con un ‘sei mia’”
-Quali segnali dovrebbero imparare a riconoscere le giovani donne? E noi adulti, cosa possiamo fare?
“La violenza inizia quando una donna non è più libera di scegliere.” È lì che comincia il dominio, la negazione dell’autodeterminazione. Da quel momento in poi, ogni gesto di controllo, ogni parola che colpevolizza, ogni isolamento mascherato da amore, è un passo verso la violenza vera e propria.

Convegno in Regione Lombardia PH IG
“Se ti controlla il telefono. Se si arrabbia se non gli scrivi subito. Se ti insulta per un like. Se ti fa sentire ‘sbagliata’. Se ti isola dagli amici. Se ti strattona. Se ti fa paura.” Questi sono segnali. Campanelli d’allarme che non vanno ignorati.

Adalgisa Ranucci,relatrice al convegno sul bullismo e cyberbullismo PH IG
“Alle ragazze dico: parlatene. Con un’amica, un genitore, un professore. Chiamate un’associazione, rivolgetevi a un centro antiviolenza. Mai restare sole. E agli adulti: non voltatevi dall’altra parte. Denunciate. Siate voce, siate azione.”
Un appello finale
“Tutti possiamo fare qualcosa. Tutti abbiamo il dovere di agire, di fermare l’onda prima che travolga. La violenza si nutre del silenzio, e si spezza solo con il coraggio della parola, del gesto, della rete.”