La corsa di Pina, la nostra corsa
Ogni volta che penso a Anna Magnani, sento una fitta al petto. Una di quelle fitte che non si spiegano, che non si nominano nemmeno, ma che conosci da sempre. Come un ricordo che non hai mai vissuto, ma che ti appartiene lo stesso.
Penso a lei, Pina, in “Roma città aperta”. La vedo correre.
E io corro con lei.
Corre dietro a un camion che le porta via l’amore, corre con i capelli sciolti e il cuore che le esplode in gola. Corre come corrono solo le madri, le donne, le anime che non si rassegnano.
E poi, il colpo. Quel maledetto colpo.
Il suo corpo che si abbandona sull’asfalto è la nostra storia che cade a terra.
Ogni volta che rivedo quella scena, non è finzione. È una ferita.
È l’Italia che perde l’innocenza. È la carne che grida la verità.
Una donna che non ha mai avuto paura di essere donna
Anna non recitava. Non interpretava. Lei si donava. Si incendiava.
Aveva un volto che il cinema non sapeva dove mettere, perché era troppo vero, troppo vissuto, troppo scomodo. Troppo umano.
Eppure, proprio per questo, ha aperto una strada.
Ha mostrato che la bellezza non è levigatezza, ma verità. Che la forza non sta nella perfezione, ma nelle crepe.
Nel suo sguardo c’era sempre un’inquietudine, una tenerezza rabbiosa, una fame di giustizia che non sapeva tacere.
“Io non sono fotogenica”, diceva. Ma era il contrario. Era l’anima ad esserlo.
Fotogenica nel modo in cui si spezzava, nel modo in cui amava, nel modo in cui si lasciava guardare senza mai concedersi davvero.
Un fuoco che ardeva sotto la pelle, che bruciava le scene, che sfidava gli uomini, i registi, le convenzioni.
Il suo volto: un’icona senza cornice
Il volto di Anna Magnani è il volto della nostra coscienza.
Ogni ruga, una memoria. Ogni sguardo, una domanda.
Era scomoda perché era vera.
E oggi, che viviamo in un mondo liscio, levigato, anestetizzato dalla finzione, quella verità fa ancora male. E meno male che fa male.
E lei è ancora viva. Già, Nelle donne che non si piegano.
Negli amori che fanno male ma non si dimenticano.
Nelle madri che lottano in silenzio.
Nei vicoli di Roma che sanno ancora di pane e disperazione.
Anna ci ha insegnato che essere veri è l’atto più rivoluzionario che esista.
E io, nel mio piccolo, ogni volta che scrivo, ogni volta che racconto, provo a essere un po’ come lei.
Senza maschere. Senza trucco. Con il cuore in mano e le parole che grondano vita.
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